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61°

Balabà ha la mente affollata da ricordi e non può che sorridere al dolore. Nella memoria il primo viaggio nell’inverno verso Catinaccio e Latemar, la 600 saliva lenta la stretta strada nel buio imbiancato dalla nevicata, le rosse rocce verticali delle gole strette appena illuminate dai fari, si parlava poco, tutti presi da ciò che vedevano. Nella memoria il giorno degli orali di Maturità, nel chiostro caldo e luminoso di Luglio camminava calmo, persuaso che ormai si avvicinava l’ora in cui dimostrare che i cinque anni avevano sparso in lui qualche seme, desiderava riuscire, che il passato schiudesse un futuro. Nella memoria i primi passi sulla capezzagna della terra tornata di famiglia, osservando le piccole piante di granturco, germogli d’un verde intenso, nel quali gli pareva di scorgere la vita scorrere decisa, pensò che di lì a qualche mese le avrebbe viste alte, pronte al raccolto. Nella memoria il primo giorno in cui entrò nell’aula come docente, appena intimidito dalla ventina d

60°

Balabà guarda il sole sorgere e colorare il cielo di quella che vorrebbe la sua ultima alba. E’ già sorto sopra Vatulele, ha tinto di rosso l’acqua limpida della laguna racchiusa dalla barriera corallina e la sabbia candida della spiaggia profonda e le fitte palme luccicanti dell’umidità più densa della notte. E’ già sorto sopra Hakone e ha sparso il rossore sul lago e sulle rive brune, su tetti ricurvi, quelli piccoli delle case e quelli grandi degli alberghi, sui sentieri lastricati che percorrono i boschi dove già qualcuno cammina lento, assaporando l’aria fresca del mattino. E’ già sorto sopra Hong Kong, disegnando innumerevoli ombre di imbarcazioni sul canale che separa l’isola dalla terraferma, risplendendo sulle finestre dei grattacieli e insinuandosi nei seminterrati degli edifici in cui già ferve il lavoro di tanti uomini e donne. E’ già sorto sopra Corfù, ha tinto di rosso i palazzi, le strade e le piazze che ricordano Venezia, l’acqua azzurra e gelida nella piccola stretta c

59°

Balabà può vedere dai due lati delle nuvole. Al di là piove piano sulla riva del fiume, luccica l’erba sull’argine, alta e folta, mossa appena dal vento, brillano umide le foglie dei pioppi e delle robinie, già tinte dei colori dell’autunno, se ne sente il fruscio nella brezza, un suono dolce e malinconico. Al di là risplendono le stelle, fitte nel cielo sereno, sembrano parlarsi lampeggiando nell’oscurità, risplendendo una più dell’altra, bianche gialle e rosse nel buio blu, a tratti paiono seguirsi, muoversi insieme quasi giocando. Al di là cade la neve, fiocchi grandi e radi che danzano nel vento, si posano sui rami verdi degli abeti e su quelli spogli dei larici, tingono di bianco il bosco, e cadono sull’ampia radura coprendola poco a poco di una coltre spessa e luccicante. Al di là risplende il sole ancora venato del rossore dell’alba, sparge i suoi raggi sul mare racchiuso da lunghe braccia di sabbia bianca, una spiaggia sulla quale si distendono le ombre della pineta, quasi dita

58°

Balabà ascolta il farsi buio nello svanire del tramonto. Lo ha ascoltato accanto al granoturco ormai alto e in fiore, il cui verde distingueva nella poca luce ancora appena rossa e ne udiva il tenue fruscio nel blando vento di Agosto. Il calore saliva dalla capezzagna inaridita, sulla quale camminava veloce un fagiano spaventato. Lo ha ascoltato seduto vicino al bagnasciuga, sulla sabbia rossa il cui calore percorreva il suo corpo, lo sentiva fondersi con il frangersi garbato delle piccole onde la cui schiuma si distendeva sulla riva spargendo riflessi nella sera. Lo ha ascoltato camminando sotto una densa nevicata appena un po’ rosea, ad ogni passo si mescolava al crepitio prodotto dai piedi affondati nell’alta coltre che copriva l’erba attorno al piccolo lago, la cui superficie ghiacciata qua e là risplendeva. Lo ha ascoltato nei pochi attimi in cui si attenuava il vociare di quelli seduti attorno a lui sulle gradinate di Forest Hills, in attesa che l’oscurità svanisse dall’imponente

57°

Balabà siederebbe ai piedi di un albero. Appoggerebbe la schiena al tronco di uno dei pioppi in mezzo alla campagna, muovendo appena la testa per osservare i campi ormai sgombri del frumento con i resti della paglia bruciati dal sole, le piante di soia fitte e verdi, le foglie di mais che già si tingerebbero di giallo. Appoggerebbe la schiena al tronco di un abete, respirerebbe piano, lasciando fluire nel naso il profumo di muschio umido cui si mescolerebbero a tratti l’odore di fungo e quello di cacca di mucca, ascolterebbe il rumore di un ruscello di cui vedrebbe il luccichio. Appoggerebbe la schiena al tronco del solo pino lungo il sentiero alto sul mare, circondato da cespugli di rosmarino che riempirebbero l’aria di profumo che renderebbe più intenso il piacere di guardare le onde avvicinarsi alla riva e tingersi del bianco della schiuma. Appoggerebbe la schiena al tronco di un albero sconosciuto, aggrappato a una roccia alta sul fiordo, osserverebbe l’acqua blu appena increspata

56°

Balabà tornerebbe con emozione bambino. Riempierebbe piano piano di sabbia umida il secchiello, premendola con cura al colmo con la paletta, soffermandosi a osservare le mura e le torri del castello che sta costruendo sul bagnasciuga, orgoglioso delle pareti alte e massicce dalle quali si ergono i coni tronchi possenti. Si sentirebbe grande. Seguirebbe un po’ distante il Signor G., camminando come lui  tra gli abeti ai margini del pascolo, stringerebbe forte il manico del cestino e solleverebbe dolcemente cool bastone i rami più bassi, così da scrutare tra l’erba e il muschio, ansioso di vedere la testa di un porcino, il suo marrone spuntare appena nel verde. Darebbe calci delicati al pallone, avanzando piano sul piccolo prato davanti alla Chiesa degli Scrovegni, pronto a scartare un avversario o una delle grosse pietre cadute dall’alto muro che racchiudeva quell’angolo della città, infisse in parte nel terreno di quello spazio erboso in cui ritroverebbe gli amici ogni giorno. Siedereb

55°

Balabà vorrebbe volare su una mongolfiera. Sfiorerebbe un campo di granoturco in fioritura, guarderebbe i pennacchi dorati nel sole ondeggiare nel vento, il polline spargersi nell’aria e scendere tra le lunghe foglie verdi per scivolare nei filamenti delle pannocchie ancora piccole, appena sporgenti dal fusto. Sfiorerebbe all’alba le acque del lago più amato, dall’altra parte del mondo, le guarderebbe tingersi di un rosso diverso in ogni istante, via via che il sole si alza sopra le dolci montagne che lo serrano su un lato, le sorvolerebbe un po’ per poi tornare indietro. Sfiorerebbe le pareti rocciose del gruppo amato sin da bambino, si smarrirebbe nelle linee di colori diversi che le percorrono, vi vedrebbe disegni che solo la sua immaginazione potrebbe scorgere, infine, superate le cime, scenderebbe quasi a posarsi nel loro anfiteatro. Sfiorerebbe le basse dune di sabbia chiara coperte di cespugli di rosmarino il cui profumo salirebbe sino a lui e lo sentirebbe ancora mentre oltrepa