56°

Balabà tornerebbe con emozione bambino.
Riempierebbe piano piano di sabbia umida il secchiello, premendola con cura al colmo con la paletta, soffermandosi a osservare le mura e le torri del castello che sta costruendo sul bagnasciuga, orgoglioso delle pareti alte e massicce dalle quali si ergono i coni tronchi possenti. Si sentirebbe grande.
Seguirebbe un po’ distante il Signor G., camminando come lui  tra gli abeti ai margini del pascolo, stringerebbe forte il manico del cestino e solleverebbe dolcemente cool bastone i rami più bassi, così da scrutare tra l’erba e il muschio, ansioso di vedere la testa di un porcino, il suo marrone spuntare appena nel verde.
Darebbe calci delicati al pallone, avanzando piano sul piccolo prato davanti alla Chiesa degli Scrovegni, pronto a scartare un avversario o una delle grosse pietre cadute dall’alto muro che racchiudeva quell’angolo della città, infisse in parte nel terreno di quello spazio erboso in cui ritroverebbe gli amici ogni giorno.
Siederebbe dietro suo padre al volante della 1500 nel farsi di un’alba nebbiosa, ascoltando silenzioso e un po’ assonnato i racconti di caccia di Italo e del geometra, storie che immaginerebbe di vivere di lì a poco, una volta raggiunta la meta, quel luogo sconosciuto nel quale sarebbe stato il più piccolo, il solo privo di fucile.
Balabà tornerebbe con emozione bambino, vorrebbe che i ricordi si facessero di nuovo vita da vivere.

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