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Balabà guarda gli scaffali che accolgono i suoi CD, sa dove porre la mano per ascoltare note che lo portino lontano dal dolore.
Rabih Abou-Khalil lo farà camminare sotto le volte di un palazzo, infine all’ombra dopo aver percorso la sabbia del deserto, assaporato l’aria asciutta nel vento, sentito il proprio corpo fremere immaginando com’era mille anni prima uno dei cuori della civiltà.
Abdullah Ibrahim gli farà salire le ripide cime alle spalle di Cape Town, ascoltando le voci degli animali, il sussurro delle foglie nella brezza, il suono dei suoi passi sulle note del piano fino a quando si fermerà in vetta a osservare le onde là dove si confondono gli oceani.
Anoushka Shankar gli farà ascoltare la voce della luna alta sul fiume che scorre lento tra palazzi senza tempo, le rive ancora affollate di uomini e donne che si immergono sereni nell’acqua torbida e scura di una notte di cui non vedrà il finire.
Ustad Fateh Ali Khan e Jan Garbarek indicheranno un sentiero stretto che procede verso le vette del mondo coperte di neve, salendo e scendendo le montagne brulle, passando accanto a pochi alberi e a cespuglio folti, in un silenzio che infine sovrasterà la musica.
Balabà guarda gli scaffali che accolgono i suoi CD, li ha già scelti, allunga la mano per prenderli e sa che gli daranno solo quella breve illusione di cui ha indicibile bisogno.

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