40° - 14.02.2023

Balabà vorrebbe vedere la neve un’ultima volta.
L’ha vista guidando nel cuore di una tormenta, su un’autostrada canadese, nel buio della sera guardava attento le altre macchine, le loro luci sfavillanti tra i fiocchi fitti a tratti lo abbagliavano così come i riflessi sull’asfalto. E si chiedeva se davvero voleva vivere lì, se avrebbe amato quegli inverni.
L’ha vista nello svanire di una notte di marzo, nella casa di campagna fredda e buia per mancanza di corrente. Vestito in fretta, usciva ad accendere il generatore e sorrideva nel guardare il fumo nero mescolarsi ai fiocchi nella luce dell’alba. Rientrato, accarezzava Doc e sorseggiava un caffè caldo fissando la bianca distesa dei campi.
L’ha vista cadere così densa da impedire allo sguardo di andare oltre qualche metro, di scoprire i panorami allora sconosciuti di un luogo destinato a diventare familiare: le vette del Brenta, i boschi folti sulle ripide montagne che serravano la valle stretta, il vecchio campanile aguzzo, il grande albergo ottocentesco.
L’ha vista scendere su Milano dalla finestra della sua stanza del pensionato, imbiancare quella città ancora poco nota, vissuta solo da un paio di mesi, frastornato più dall’impegno quotidiano nelle aule universitarie che dalle suggestioni di vie e piazze diverse da quelle della piccola Padova. E usciva per andare a guardare il Duomo bianco.
Balabà vorrebbe vedere la neve un’ultima volta, un candore che scendesse su di lui coprendolo per sempre, portandolo nel nulla dove vorrebbe infine restare.

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