31° - 08.06.2022

Balabà, in una sera primaverile che opprime come fosse nel cuore dell’estate, vorrebbe guardare l’autunno.
Lo ha scoperto in un mattino di novembre, bambino di sei anni, con suo padre, così restio a impugnare il fucile, e i suoi amici cacciatori. Accanto a loro una laguna e più in là l’Adriatico agitato nella Bora. Guardava le canne e l’erba ondeggiare nel vento e come i cani scrutava tra l’erba alta in cerca di una preda.
Lo ha attraversato nelle nubi basse in un bosco di montagna, negli occhi il confondersi del rosso dei larici con il verde degli abeti, nelle orecchie i rari versi di un animale o di un uccello, nelle narici gli odori del muschio, del legno e della terra morbida su cui camminava.
Lo ha annusato nel fumo che si alzava dai bidoni in cui cuocevano le caldarroste; attraversava le Piazze in un pomeriggio intristito dal gocciolare di una pioggia rada e lenta, posando senza fretta i propri passi sui lucidi cubetti di porfido che riflettevano a tratti le fiamme.
Lo ha respirato nella terra rovesciata dall’aratro, percorrendo accanto al trattore l’appezzamento ancora coperto dai resti di granoturco in larga parte sfatti dal sole e dall’umidità, il cui tenue scricchiolare accompagnava il posarsi lento e regolare dei piedi.
Balabà vorrebbe guardare sereno l’autunno come ha fatto tante volte, nella natura e nella città, e sfuggire all’inverno ormai inesorabile dei suoi giorni.

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